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Concorrenza e mercato libero: possibili vittime del caro-energia?

Di Francesco CALABRETTA

Cluster Leader Italy and Hungary Audax Renewables

 

Come molti avevano prefigurato, il caro-bolletta si sta rivelando un fenomeno tutt’altro che passeggero (ne ho parlato anch’io qui e qui). Dopo il consistente aumento pre-estivo, che ha visto il primo intervento governativo per abbassare i prezzi, la situazione non è mutata in positivo. Anzi.

Una crisi, quella attuale, che ha cause profonde, diversificate e che travalicano ampiamente i confini italiani, riducendo – di fatto – il nostro margine di intervento. Ciò che rimane, purtroppo, sono le conseguenze dirette e indirette. Quindi all’impatto su famiglie e imprese, sempre più in affanno nello star dietro a consistenti aumenti delle tariffe, si somma anche un rincaro generalizzato di beni e servizi a causa del prezzo maggiorato dell’energia necessaria alla loro realizzazione. In questo senso, niente è più esplicativo dell’abbondante flusso di news e commenti social sul probabile aumento della tazzina di caffè a 1,50 centesimi di euro.

A rendere più carica di implicazioni negative questa situazione è il suo gravare su più aspetti delle nostre vite: come cittadini che consumano quotidianamente energia, come consumatori che acquistano beni e servizi (dalla spesa in avanti) ed eventualmente in qualità di imprenditori, poco importa se di micro o grandi aziende.

Guardando a questo ultimo aspetto si scopre che secondo le stime di Confindustria, le imprese italiane sborseranno 37 miliardi di euro in energia nel 2022. Nel 2020 la cifra è stata di 20 miliardi e nel 2018 di 8 con il gas naturale che nel frattempo è aumentato del 700% rispetto al 2019.

E, in effetti, nei mesi passati, le preoccupazioni si sono maggiormente concentrate sulla tenuta di molte attività, con particolare interesse verso comparti come il manifatturiero, l’agroalimentare o di quella composita galassia che sono le microimprese artigiane.

Al contempo tuttavia, poco o pochissimo si è parlato di qualcosa che non è solo una previsione, ma già un dato di fatto, ovvero il fallimento o le grosse difficoltà finanziarie in cui versano diverse società di vendita di energia in mezza Europa.

A dire il vero i media specializzati avevano cominciato a diffondere news sulla chiusura di società di fornitura, soprattutto nel Regno Unito dove, dal rientro dopo le vacanze, alcune società di vendita erano fallite, schiacciate dai debiti contratti per l’acquisto di materie prime (gas in particolare) a prezzi non sostenibili. Ad ottobre, per esempio, due compagnie come Pure Planet e Colorado Energy avevano chiuso i battenti, costringendo i 250mila utenti serviti a trovarsi un nuovo fornitore. Un’operazione quest’ultima che si sta rivelando tutt’altro che semplice, visto che la maggior parte dei fornitori più grandi sta già assumendo un gran numero di nuovi clienti provenienti da altre aziende fallite (Sole 24Ore). E al di là delle accuse di errori attribuiti ad Ofgem, l’Authority energetica d’Oltremanica, oggi siamo arrivati a quasi 30 operatori costretti alla chiusura.

Non va meglio nei Paesi dell’Unione, area particolarmente colpita dall’aumento dei prezzi, soprattutto del gas. Secondo Bloomberg sono oltre 40 le società che hanno dichiarato fallimento: dalla Germania, alla Repubblica Ceca, passando per i Paesi Bassi, Belgio e Finlandia.  

In Italia il contesto sta assumendo contorni preoccupanti, considerando i diversi fornitori finiti in seria difficoltà. Tra questi vi sono i casi di Cura Gas & Power, azienda di vendita energia di Faenza, e di Alpherg, un trader nato nel 2018 dalla joint venture tra Enoi e la multinazionale Trafigura.

 

La situazione, com’è intuibile, è in continuo movimento e non è chiaro cosa accadrà nel prossimo futuro. Molto dipende anche dai piani nazionali per contrastare gli effetti del caro-energia e, soprattutto caro-gas (come emerge dal Rapporto che la Commissione europea ha pubblicato all’inizio di questo 2022). Tuttavia, vi sono delle evidenze da cui è utile partire se si vuole affrontare un ragionamento serio.

Innanzitutto, le vantaggiose offerte a “prezzo fisso” proposte dagli operatori del mercato libero per attirare clienti, si sono rivelate un elemento critico per gli operatori costretti a mantenere stesse tariffe anche di fronte alle violente fluttuazioni del prezzo dell’energia.

In secondo luogo, queste offerte che hanno generato concorrenza e benefici per il consumatore – libero di scegliere la migliore soluzione – stanno mettendo in difficoltà soprattutto quei soggetti con le spalle “poco coperte” dal punto di vista finanziario, molto più esposti nel subire le conseguenze di congiunture negative.

In terzo luogo, misure governative come la possibilità di rateizzare in dieci volte la bolletta, se da una parte è una misura socialmente giusta per venire incontro alle difficoltà di quei cittadini più colpiti dalla crisi, dall’altra non può essere caricata sulle sole spalle di gruppi e società privati già provati da esposizioni bancarie importanti per l’acquisto di materia prima.

 

Senza voler ripetere l’ormai trito detto secondo il quale da “ogni crisi nasce un’opportunità”, la situazione odierna è occasione per discutere quale strada prendere. Lo affermo sapendo di far parte di un gruppo internazionale, Audax Renovables, forte di una situazione finanziaria solida e protetta da scelte lungimiranti fatte sul tema dell’acquisto di energia.

In sintesi, le opzioni sul tavolo sono sostanzialmente due. Uno, sostenere un mercato liberalizzato nel quale operano una pluralità di concorrenti in grado – ognuno secondo la propria iniziativa – di proporre offerte differenti. Due, lasciar correre quando sta avvenendo senza porre correttivi e vedere, a tempesta finita – quando finirà – quanti soggetti sono rimasti in piedi. Con il rischio che il consumatore si trovi, a quel punto, a dover decidere fra un ristretto gruppo di operatori, con la concorrenza quale elemento sempre meno centrale.

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